Il sonoro accorpa due linguaggi, ambedue importanti componenti del macrolinguaggio cinetelevisivo. Uno è quello delle voci e dei rumori: può apparire strano considerarlo un linguaggio, eppure un’opera può esprimere certi passaggi narrativi e rappresentare ambienti e personaggi, anche solo valorizzando alcuni suoni o sopprimendone altri, modulandoli o raggruppandoli ecc. Anche se pochi se ne accorgono, un film è anche un concerto di suoni, il cui impatto sulla percezione soggettiva del racconto è straordinariamente forte. L’altro linguaggio sonoro presente nella gran parte dei film è la musica. Nei film, la musica svolge funzioni diverse e fondamentali, anche se vi sono opere che ne fanno a meno. Il pubblico però vi è talmente abituato che la sua assenza non lascia indifferenti.
La musica, come linguaggio e come opere, ha una storia ben più antica di quella dell’immagine in movimento. La gran parte delle persone la considera parte integrante della propria esistenza: si può incontrare gente a cui non piace il cinema, ma trovare qualcuno che non ascolti nessun tipo di musica è quasi impossibile. Che la tradizione e il linguaggio musicali siano usciti rafforzati dal loro incontro con il cinema può essere oggetto di discussione, ma non vi è dubbio dell’opposto. Il contributo della musica al film (e poi alla televisione) lo ha reso una tipologia di opera dall’attrattiva potente e lo ha arricchito di possibilità espressive che ancora, probabilmente, non sono state del tutto esplorate.
Si potrebbe pensare che in un film la voce valga solo come portatrice dei dialoghi previsti in sceneggiatura, e che del rumore, così come nella vita reale, si potrebbe fare volentieri a meno. In realtà, questi due elementi assumono un ruolo fondamentale: la voce è da considerarsi come la straordinaria espressione di uno strumento molto particolare; e se i rumori presenti nelle opere cinetelevisive sparissero, ne sentiremmo il vuoto, e il visivo perderebbe di profondità e credibilità.