Il piano sequenza in "Cronaca di un amore" (r. di Michelangelo Antonioni, 1950, IT), è realizzato in modo molto particolare. I due protagonisti si sono dati convegno su un ponte per organizzare gli ultimi dettagli dell'omicidio del ricco marito di lei. La camera comincia a inquadrare i due quando si incontrano, poi iniziano a spostarsi, e la camera a seguirli, disegnando una sorta di circolo sul ponte. Ad ogni "stazione" la loro discussione si fa via via più tesa, fino a quando sfocia nella manifestazione violenta della sfiducia reciproca, nel punto esatto in cui il cerchio si chiude. In questo modo Antonioni visualizza e sintetizza in un solo movimento di camera l'intero arco narrativo del film, l'amore tra i due e l'impossibilità di viverlo.
"L’infernale Quinlan" ("Touch of Evil", di Orson Welles, 1958, USA) si apre con un lungo e famoso piano sequenza. La camera montata su una gru segue due coppie di personaggi in maniera fluida impostando da subito la ripresa secondo i classici dettami della suspense: il pubblico sa qualcosa di vitale che i personaggi ignorano. Il piano sequenza mostra Mike Vargas, un poliziotto messicano impegnato nella lotta contro una famiglia mafiosa, in luna di miele con la moglie Susie, mentre altri due personaggi incrociano continuamente la prima traiettoria. Il piano sequenza permette a Welles, con un’abile “danza”, di mostrare un ambiente complesso, valorizzando il passaggio di confine, e di intrecciare in maniera estremamente solida il destino delle due coppie, una delle quali perirà saltando in aria, mentre l’altra sarà impegnata nella scoperta degli autori di questo e altri crimini.
Un piano sequenza tratto da "La grande guerra" (r. di Mario Monicelli, 1959, Italia). Nonostante il film visibilmente tenda a raccogliere i favori del largo pubblico, non rinuncia comunque ad una serie di soluzioni da pellicola "d'autore". Non solo il piano sequenza era assai raro all'epoca, ma lo era anche la sua attinenza linguistica col contenuto. Monicelli lo utilizza per riprendere in maniera apparentemente distaccata (straniante) la fucilazione di un austriaco. Mostrandoci i protagonisti di spalle è come se anche il pubblico assistesse all'esecuzione che non diminuisce il suo effetto per essere tenuta sul campo medio-lungo.
Il lungo piano sequenza qui riprodotto in parte, tratto da "La recita" ("O Thiasos", r. di Thodoros Anghelopulos, 1975, Grecia), mostra la compagnia teatrale protagonista del film che, dopo aver preso possesso dei locali che la ospita, prova qualche battuta del dramma. La camera segue e riprende l'intero gruppo mentre si sistema negli alloggi e poi si raccoglie sul ballatoio, quindi panoramica fino ad inquadrare, fermandosi, uno spazio vuoto. Solo dopo un po' entrano in campo alcuni attori. "Agamennone" rimprovera lo stile recitativo di "Elettra" e si rivolge quindi al resto della compagnia (seguito dalla camera che completa il percorso della panoramica circolare) che scopriamo essere intanto scesa dal piano in cui prima si trovava. Dice Anghelopulos: "Uso il piano sequenza per dialettizzare i tempi morti, perché fino ad oggi i cosiddetti tempi morti sono stati banditi dal cinema americano ad effetto; non venivano usati, perché i tempi morti non sono commerciali. Se si vuole opero una sorta di montaggio all’interno del piano. Amo molto il piano sequenza, lascia molta più libertà ed esige uno spettatore più attivo. D’altra parte il piano sequenza fa intervenire un elemento dialettico supplementare che non esiste nel montaggio: la nozione di spazio “off”, il campo vuoto, ecc. Un’altra possibilità che ti offre il piano sequenza rispetto al cinema di montaggio fatto di frammenti spezzettati è che l’attore recita come in teatro, in una continuità che dà un senso di completezza, e le condizioni teatrali per un attore sono le migliori per recitare."
Il film "Arca russa" ("Русский ковчег", di Aleksandr Sokurov, 2002, Russia e Germania) è costituito unicamente da un solo ininterrotto piano sequenza. E’ stato necessario l’utilizzo di una camera digitale speciale realizzata appositamente, poiché all’epoca non era disponibile un modello in commercio. Dopo innumerevoli prove sono stati realizzati quattro tentativi di ripresa. Per comprendere quanto è più complicato un piano sequenza rispetto alle normali procedure (cioè la ripresa di tante inquadrature frammentate e poi montate) basti pensare che al film hanno collaborato più di 4500 persone, tra le quali 22 assistenti alla regia. Il film narra le vicende della storia russa degli ultimi secoli, guidate dal voice over di un personaggio che non si vede ma che si identifica col punto di vista della camera. Costui interloquisce con un visitatore (un diplomatico francese dell’Ottocento) che percorre tutte le stanze dell’Ermitage di San Pietroburgo, una volta residenza imperiale e oggi museo. Attraversando le varie sale e i corridoi i due visitatori si muovono anche attraverso le epoche della storia russa incontrandone, quasi mai senza essere visti, i protagonisti. L’utilizzo così esteso del piano sequenza trasmette la sensazione che la storia narrata, pur dipanandosi nei secoli, costituisce un tutto fortemente unitario, con legami interni fortemente necessari, il che naturalmente serve bene il messaggio politico che l’autore intende trasmettere con la sua opera.
"Fino all'ultimo respiro" (À bout de souffle, r. di Jean-Luc Godard, 1960, Francia) è pieno di long take e piani sequenza. Questa carrellata a precedere è stata realizzata dal direttore della fotografia Raoul Coutard riprendendo da una sedia a rotelle, dato che Godard non aveva a disposizione fondi sufficienti per un dolly e del resto era intenzionato a riprendere "dal vero". Da notare il numero di passanti che guardano in camera.
In questo long take tratto da "Tre donne" ("Three Women", di Robert Altman, 1977, USA) Millie sta accompagnando i genitori di Pinky dalla figlia, dopo che la ragazza ha tentato il suicidio. L’inquadratura comincia con una panoramica del paesaggio che termina sulla conversazione dei tre. Il padre è addormentato e la madre appare assai poco preoccupata. I due genitori si riveleranno totalmente anafettivi. Senza staccare, la camera realizza una panoramica verso il lato opposto. Questa seconda panoramica non svolge la stessa funzione di piano d'ambientazione della prima: il paesaggio arido richiama l’assenza di sentimenti dei genitori, sensazione rafforzata dalla frase della madre in cui afferma che il paesaggio gli ricorda tanto la sua terra.
In questo long take tratto da "Interiors" (r. di Woody Allen, 1978, USA) le due sorelle Renata e Flyn passeggiano in riva al mare, parlando delle loro vite e incoraggiandosi a vicenda. Sono seguite da una carrellata laterale in Campo medio. Il fatto che la staccionata si frapponga tra loro e la camera provoca una sensazione di velocità relativa, contrapposta al lento passo della camminata. Questo effetto, unito al loro sonoro che è in primo piano, nonostante non sia verosimile a quella distanza, provoca un effetto straniante che rende non del tutto credibili gli attestati di affetto che le due sorelle si scambiano. Come se il mondo intorno a loro congiurasse comunque per rendere difficile la comunicazione a un livello più profondo. A conferma, l’inquadratura si chiude con Renata ritratta lungamente sola.
In questa scena tratta da "Stranger Than Paradise" (di Jim Jarmusch, 1984, USA), Willie ed Eddie sono diretti a Cleveland per visitare la cugina di uno dei due. Le riprese sono realizzate mantenendo i due in Piano medio di spalle tutto il tempo. Questo trasmette l'idea di una forte autenticità delle riprese e permette di evidenziare il dialogo dei due non per le singole parole, ma per il tenore generale della conversazione, che sottolinea il loro sbandamento identitario. Dato che la ripresa è stata realizzata senza l'aiuto di luci aggiuntive, per dare un minimo di visibilità alle spalle, il direttore della fotografia ha dovuto allargare il diaframma e dunque l'esterno risulta a tratti sovraesposto. L'intera sequenza del viaggio è costituita da long take di questo genere separate da dissolvenze.
I due long take con camera a mano con cui è mostrata l'irruzione in casa dell'attivista da parte della squadra di soldati inglesi in "L'agenda nascosta" ("The Hidden Agenda", 1990, UK) non servono a descrivere compiutamente l'azione, ma a restituire il clima di aggressione che la caratterizza. A ciò concorre anche il suono fuori campo del pianto del bambino.
"Ali Baba et les Quarante Voleurs" (r. di Ferdinand Zecca, 1902, FR). Il film, una produzione Pathé Frères, è costituito dall’unione di sette tableaux: ogni scena si svolge davanti a un fondale ed è risolta con una sola inquadratura fissa. Il linguaggio cinematografico è rimasto per diversi anni bloccato sulla ripresa teatrale. Gradualmente si è emancipato prima avvicinandosi e allontanandosi dal quadro per cogliere piani ravvicinati e Dettagli, poi piazzando la camera in mezzo alla scena, variando dunque anche l'angolazione.
"Aladin o la lampe merveilleuse" (di Albert Capellani, 1906, FR) fu prodotto da quella che allora era la più potente major cinematografica al mondo, la francese Pathé Frères, e distribuito dalla stessa in Europa e negli USA. La scena viene risolta con un'unica inquadratura e un solo punto di vista teatrale. Le riprese teatrali implicava che tutto il mondo diegetico rappresentato doveva trovare spazio lì, senza riferimenti immediati ad un fuori campo.
In questa scena di "Canzoni del secondo piano" ("Sånger från andra våningen", regia di Roy Andersson, 2000, DK-NO-SE) un impiegato viene licenziato. Implora il suo capo di non farlo: dopo 30 anni di lavoro... La camera è fissa e tutta la scena si risolve in una sola inquadratura, lo stile dell’intero film. Questa ripresa teatrale permette al pubblico di osservare l’evento da una certa distanza, eppure l’impatto emotivo, alla fine, non è inferiore a quello offerto dal tipico découpage con piani ravvicinati. Ci si sente come i colleghi del personaggio, che spiano la tragedia che si compie senza intervenire e che alla fine chiudono le porte per non vedere e non sentire.
Un esempio di effetto finestra si trova in "Ida" (r. di Paweł Pawlikowski, 2013, DK-FR-PL-UK). La zia della protagonista, Wanda, ha appreso una verità per lei insostenibile e decide di suicidarsi. La camera rimane fissa su un’unica inquadratura, accompagnata dalla musica diegetica del giradischi che riproduce la Sinfonia n. 41 di Mozart, il cui tono grandioso è vagamente discordante rispetto agli eventi. La donna fuma, esce due volte dall’inquadratura tardando a rientrare, pare voler uscire di casa, visto che ha indossato un cappotto, e invece inaspettatamente si getta dalla finestra. La musica continua indifferente, così come la camera, che sosta per una quindicina di secondi sul teatro della tragedia. La differenza con la ripresa teatrale è l'esistenza del richiamo di un fuori campo che la camera si nega a inquadrare.
In "Lo squalo" ("Jaws", r. di Steven Spielberg, 1975, USA) la scena in cui il sindaco della città cerca di convincere lo sceriffo a non far chiudere le spiagge è realizzata in parte con un montaggio interno. Il dialogo si fa sempre più serrato: normalmente si sarebbe risolto con tagli via via più ravvicinati, invece in questo caso la camera non si muove e sono i due attori che progressivamente le si avvicinano, man mano che le battute diventano più incalzanti.