In "La donna che visse due volte" ("Vertigo", regia di Alfred Hitchcock, 1958, USA) il protagonista si innamora di una donna misteriosa, che presto però, all’apparenza, si suicida. Tempo dopo incontra una donna che pare identica ma, dato che il film ha già mostrato alcune scene in cui lui pensava, sbagliando, di riconoscerla in altre persone, il pubblico è portato a sospettare che si tratti di un ennesimo equivoco. Dopo un primo incontro in cui lui insiste per portarla a cena, il protagonista esce dalla stanza e la donna si gira lentamente in posizione frontale guardando in camera. A quel punto viene inserito il flashback che mostra la messinscena della sua morte, mai avvenuta. È il momento in cui il flusso informativo stabilisce una nuova gerarchia della conoscenza: il pubblico ne sa di più del protagonista: è una rivelazione. Fino a quel momento l’opera aveva una portata informativa limitata al punto di vista del protagonista, successivamente diviene illimitata. Anche la profondità informativa è parziale: nella prima parte il pubblico ha modo di comprendere cosa passi nella mente del protagonista, anche grazie a un personaggio secondario con il ruolo di interlocutore (l’amica innamorata di lui). Nella seconda al pubblico vengono nascoste le motivazioni della donna, che risultano chiare solo alla fine. Quando però un giorno il protagonista riconosce il fermaglio della collana (seconda clip) capisce di essere stato ingannato. È il momento della scoperta: pubblico e protagonista si trovano sullo stesso piano informativo.
In "Shutter Island" (r. di Martin Scorsese, 2010, USA) la scoperta che il protagonista è in realtà uno psicopatico (parte di ciò che il film ha mostrato sino a quel momento era il suo punto di vista: focalizzazione soggettiva) costituisce una sorpresa, poiché si tratta di un’informazione inaspettata sia per il pubblico sia per il personaggio stesso, che invece pensava di essere sanissimo. Dato che la sorpresa determina una svolta totale del racconto, si può anche definirla un colpo di scena.
Nel prologo de "L’esorcista" ("The Exorcist", regia di William Friedkin, 1973, USA) sono rilasciate al pubblico, ma non ai personaggi, varie anticipazioni di quanto accadrà. Tra le tante, il vento che si leva quando è inquadrata la statua del demonio. Le anticipazioni diventano avvertimenti quando la madre sente dei rumori giungere dalla soffitta, vi si avventura, ma non trova nulla e attribuisce i suoni ai topi.
"Sussurri e grida" ("Viskningar och rop", r. di Ingmar Bergman, 1972, SE) mostra all’inizio del film una donna che, in fin di vita per un cancro, scrive una pagina di diario. Lo spettatore viene così a conoscere la sua condizione e il fatto che è assistita dalle due sorelle ed è portato a pensare che il diario sia uno stratagemma per informare rapidamente il pubblico della situazione. In realtà, si tratta di una semina. Dopo essere stato mostrato un’altra volta (in maniera non necessaria per la storia, ma utile per ricordare al pubblico la sua esistenza), il diario sarà essenziale per costruire un finale efficace (raccolta). La domestica, l’unica persona che davvero si è occupata della malata, viene mandata via in malo modo dalle due sorelle e dai loro mariti, dopo il decesso, e le offrono di prendersi un oggetto di valore come forma di ringraziamento, ma lei, dignitosamente, rifiuta. La vediamo poi raccolta nella sua stanza estrarre dal cassetto proprio il diario, aprirlo, e cominciare a leggerne una pagina. A quel punto sulla voce fuori campo della sorella malata scorrono le sue parole per un finale di grande efficacia. La rimonta (semina+raccolta) è servita a Bergman per far calare il suo giudizio morale sui personaggi (la domestica proletaria, poco istruita, ma materna e generosa, le due sorelle problematiche, sofferenti, ma comunque prigioniere del loro egoismo di classe), ma anche per far pronunciare parole di speranza alla sorella malata, della quale proprio nel finale comprendiamo la forza.
Il protagonista di "Memento" (r. di Christopher Nolan, 2000, USA) soffre di amnesia anterograda, ma non desiste per questo dal raccogliere indizi che gli consentano di vendicarsi. Si alternano due linee temporali: una diacronica e l’altra inversa. Il film comincia con l’ultima sequenza e continua poi con la prima, quindi con la penultima, poi con la seconda e così via, sino ad arrivare al finale che mostra quella che è in realtà la sequenza centrale. Questa estrema scomposizione dell’ordine temporale vuole restituire la condizione mentale del protagonista, che ha perso la memoria a breve termine e che per ricordarsi dei suoi propositi di vendetta si tatua sul corpo ciò che lo colpisce. Dato che non è possibile stabilire qual è il tempo presente della narrazione, il racconto (a incastro) è dominato da un tempo non lineare.
"11 settembre 2001" ("11'09"01 - September 11", 2002, USA-UK-FR e altri) è composto da undici episodi diretti da 11 registi differenti, ispirato agli attentati dell'11 settembre 2001. Ogni episodio è della durata di 11 minuti, 9 secondi e un fotogramma. È un esempio di film a episodi: sono costituiti da un insieme di cortometraggi o mediometraggi indipendenti tra loro e uniti al massimo da un tema. Uno stesso film, più linee temporali.
"Cloud Atlas" (r. di Lana e Lilly Wachowski e Tom Tykwer, 2012, USA-DE-CH-SG) narra sei storie che si svolgono in luoghi e tempi diversi. I racconti sono tra loro intrecciati e si alternano concludendosi tutti verso il finale. Questa tessitura serve a rafforzare il legame che esiste tra i personaggi delle diverse storie, caratterizzate dalla lotta per la liberazione da varie forme di oppressione. Si tratta di un raro esempio di film con storie parallele.
Un altro caso di presenza di più linee cronologiche all'interno di un film, si ha quando per tutto il racconto o solo in un certo momento, la linea temporale del tempo presente viene affiancata da una immaginaria (scene separate). Ad esempio nella visualizzazione di un sogno. Nell'esempio: il sogno del soldato in "Il fascino discreto della borghesia" ("Le charme discret de la bourgeoisie", r. di Luis Buñuel, 1972, FR-SP-IT).
Le linee temporali si moltiplicano anche nella Rashomon-style story, un film in cui la stessa storia è narrata da diversi punti di vista e il film torna sì indietro, ma per percorrere un’altra strada, e l’eventuale tempo presente serve solo a raccordare i vari segmenti, giustapponendoli. "Rashomon" (r. di Akira Kurosawa, 1950, JP).
Vi possono essere singole sequenze o interi film in cui diverse linee temporali rappresentano diverse possibilità di svolgimento a partire da una stessa premessa. I vari segmenti tra loro alternativi prendono il nome di flashsideaways. "Sliding Doors" (r. di Peter Howitt, 1998, USA-UK).
In "Una vampata d’amore" ("Gycklarnas afton", regia di Ingmar Bergman, 1953, SE) il conducente di uno dei carri del circo racconta un aneddoto riguardante due membri della compagnia; il flashback mostra la moglie del pagliaccio immergersi nuda in acqua, per il piacere di un gruppo di soldati; il marito la va a prendere caricandosela sulle spalle, poi però crolla per la fatica. Sul punto di innesto il flashback è introdotto da una musica allegra che sostituisce in modo innaturale le voci e che dura sino a che il racconto ha un tono piccante, poi nella parte che si fa tragica prevalgono distanziate e marziali percussioni, mentre i suoni d’ambiente tacciono. Lo stile di regia del flashback si differenzia dal resto del film: inquadrature angolate, secca alternanza tra Campo lungo e Primo piano, dettagli. In questo modo il flashback è solo apparentemente una rievocazione, ma assume una funzione di prefigurazione degli eventi che accadranno al protagonista, che è il personaggio al quale viene raccontato l’aneddoto. Il punto di ritorno è lo stesso dell'innesto. Dato che il flashback è introdotto da un personaggio si dice diegetico, è rappresentato per intero e dunque è continuo, è non raccordante perché si conclude in un tempo anteriore al tempo presente, è esterno poiché è anteriore all'inizio cronologico del racconto.
In "Assassinio sull’Orient Express" ("Murder on the Orient Express", r. di Sidney Lumet, 1974, UK) nell’ultima parte del film la ricostruzione dei fatti che spiegano la misteriosa morte di uno dei viaggiatori da parte di Hercule Poirot è realizzata con una serie di flashback. È con un procedimento tipico dei mystery, dove un detective intellettualmente molto dotato riesce a districare la complessa trama degli eventi, scoprendo la sorprendente identità del colpevole.
"Hiroshima mon amour" (r. di Alain Resnais, 1959, FR-JP) narra l’incontro d’amore tra un’attrice francese e un architetto giapponese nella città di Hiroshima. La linea temporale del presente è continuamente scossa da un ricorso sistematico a flashback che spesso non sono dichiarati, tanto che a volte non si comprende a quale cronologia si riferiscano o se siano addirittura frutto di immaginazione. Dato che la donna è tormentata da traumi vissuti negli anni precedenti e l’uomo è rappresentativo di una nazione sconfitta e distrutta dalla guerra, l’ambiguità dell’ordine temporale ben rappresenta il peso che le vicende dolorose del passato esercitano sul presente. Nella prima clip la protagonista associa al braccio abbandonato del suo amante giapponese, quello del tedesco che aveva amato e che è morto durante la guerra. Nella seconda, indecisa se lasciare o no il Giappone, la protagonista cammina confusa per le vie di Hiroshima che si alternano a quelle di Nevers, senza che si comprenda se è frutto della sua immaginazione o se è una visualizzazione dei suoi ricordi.
Come in molti film mystery, anche in "Get Out" (r. di Jordan Peele, 2017, USA) quando ci si approssima al finale è necessaria una sequenza di spiegazione che sveli il mistero. Il pretesto utilizzato dal film è il dialogo del protagonista con chi aspira ad impossessarsi del suo corpo. Com'è tipico dello schema, si alternano le immagini di chi spiega, a quelle del pubblico attonito (che riproduce a specchio l'emozione del pubblico a casa) e rapidi flashback.
In questa scena tratta da "L'altra verità" (r. di Ken Loach, 2010, UK, FR, IT, B, SP) il protagonista Fergus ricorda una azione di guerra in cui era coinvolto il suo amico Frankie, della cui morte non si rassegna. L'autore per sottolineare il flashback ha utilizzato due strumenti del linguaggio cinematografico, "filtrando" e "sgranando" l'immagine.
"Gioventù, amore e rabbia" ("The Loneliness of the Long Distance Runner", r. di Tony Richardson, 1962, UK) comincia descrivendo con due lunghe carrellate a seguire il protagonista, Colin, mentre corre libero per strade di campagna. La sua voce over spiega perché è attratto dalla corsa. E' da notare che non viene realizzato alcun piano ravvicinato sul personaggio all'interno della sequenza, anche se sarebbe naturale, dato che è il protagonista del film e il pubblico deve imparare a conoscerne i tratti somatici. Questa rinuncia ha la funzione di sottolineare pienamente proprio la corsa in sé, elemento costitutivo, più del volto, dell'identità di Colin. La corsa è una maniera per evadere da una realtà sociale che non accetta, la corsa è libertà. Una dissolvenza incrociata porta al suo Primissimo piano in un altro luogo e momento: dentro un furgone per essere portato in prigione. È solo ora che il pubblico può comprendere che quello che sembrava un prologo è in realtà un nostalgico flashback del personaggio e può sentire cosa egli provi grazie al contrasto visivo tra libertà di prima e la costrizione del momento.
La seconda clip dello stesso film rappresenta una sequenza con tre scene successive. Nella prima Colin è su una collinetta conversando e baciando la fidanzata. Nella seconda i due si allontanano lungo la spiaggia. Nella terza si vede Colin che corre: sappiamo che le prime due scene erano dei flashback, ricordi piacevoli probabilmente attivati nella mente del protagonista nel momento in cui, felicemente, può allenarsi fuori dalla prigione.