arte, cinema e contesto storico
Alla fine dell'Ottocento la Russia occupava un territorio enorme. Gli altri Paesi coloniali (Inghilterra, Francia, ecc.) avevano conquistato aree lontane dalla madrepatria, ma la Russia, come in parte gli USA, aveva promosso lo stesso processo semplicemente espandendo i propri confini e cercando di russificare le popolazioni sconfitte (per esempio i ceceni).
La crescita territoriale della Russia però contrastava con la sua arretratezza economica e sociale. Al confronto degli altri Paesi europei rimaneva un Paese sostanzialmente contadino, anche se il regime aveva intrapreso una industrializzazione dall'alto che aveva portato al formarsi di grosse concentrazioni di fabbriche nelle maggiori città. Era un gigante dai piedi d'argilla. La ricchezza era concentrata nelle mani di pochi, il potere in quelle dello zar, i contadini non disponevano di terre proprie, gli operai subivano condizioni pesantissime. Persino la borghesia chiedeva delle riforme, dato che l'immobilismo dello zar e della sua ristretta cerchia di nobili impediva lo sviluppo pieno del capitalismo. Non erano garantiti libertà e diritti e, mentre gli altri stati europei ampliavano sotto la pressione dei movimenti di massa gli spazi della democrazia, la Russia rimaneva una monarchia assoluta.
Lo stesso regime stimolava un acceso antisemitismo di massa che prese la forma dei terribili pogrom, stragi e saccheggi ai danni dei villaggi e dei quartieri ebraici. Gli ebrei subivano una discriminazione "legale": ad esempio avevano l'obbligo di residenza in determinati territori. Qui, tra i ghetti delle città e i villaggi delle campagne, si sviluppò una cultura e una lingua autonome che si estendevano fino in Germania: l'yiddish. Da questa cultura nacquero artisti come Marc Chagall ed altri. Alcuni cineasti erano di origine ebraica, come Vertov e Ejzensteijn, ma non di cultura yiddish. Quando poi il nazismo la spazzerà via, la diaspora ne porterà per il mondo diversi elementi (per quanto riguarda il cinema la comicità dei fratelli Marx, di Jerry Lewis, di Woody Allen ed altri ha molte influenze yiddish).
All'inizio del 1905 la situazione sociale ed economica della Russia era estremamente deteriorata. E a questi problemi si aggiunsero quelli causati dalla guerra con il Giappone, fallimentare. La situazione interna precipitò il 22 gennaio del 1905 a San Pietroburgo. Una grande folla di operai guidati da un pope, si recò di fronte al Palazzo d'Inverno, residenza dello zar, per consegnare a questi una supplica. Malgrado la dimostrazione fosse pacifica e composta da fedeli sudditi (molti reggevano nelle mani il ritratto dello zar), le truppe di guardia caricarono la folla facendo uso di fucili e sciabole. Secondo dati della polizia, si contarono circa mille morti e duemila feriti. Questi eventi produssero una serie di effetti a catena: a San Pietroburgo ed a Mosca gli operai scesero in sciopero, nelle campagne vi furono sollevazioni di contadini, nell'esercito si ebbero ammutinamenti come anche nella squadra navale del Mar Nero (su questo episodio è basato il film Bronenosec Potemkin, "La corazzata Potemkin").
Si formarono i primi soviet, cioé assemblee di delegati operai, soldati e contadini che decidevano le forme di lotta e le forme di autogoverno là dove avevano preso il controllo della situazione. Spaventato da ciò che stava accadendo, il regime fece delle concessioni per riportare l'ordine. Lo Zar Nicola II concesse una costituzione prevedendo l'elezione di un parlamento (Duma) anche se con poteri molto limitati. Una volta tornata la normalità, lo zar la sciolse, per fare eleggere una Duma più asservita.
Negli anni successivi la Russia tornò ad essere una monarchia assoluta facendo così crescere le contraddizioni interne che sfoceranno nelle rivoluzioni del 1917.
La rivoluzione del 1905 era fallita, ma aveva in qualche modo favorito un'aria nuova in campo culturale. Sbocciarono movimenti, si formarono associazioni, apparvero pubblicazioni che diffondevano nuove idee. Alcuni artisti ebbero un'evoluzione personale fuori dal loro Paese, come Wassilij Kandinskij e Marc Chagall, anche se mantennero sempre solidi legami con il proprio Paese.
Altri artisti svilupparono il loro percorso in Russia, spesso associandosi in gruppi e movimenti organizzati. Tutti miravano a contestare duramente l'arte accademica del secolo precedente (esempi in: http://www.russianartgallery.org) in favore di forme espressive sempre meno convenzionali (vedi http://www.russianavantgard.com). Queste avanguardie avevano solidi legami con le contestazioni del secolo precedente legate al movimento populista ed erano caratterizzate sempre da due elementi: l'attenzione alle novità dell'Europa Occidentale, soprattutto francesi, viste come il frutto di società più avanzate di quella russa, e il contemporaneo legame con le tradizioni contadine russe.
Tra questi artisti vi era Natalija Goncharova che era interessata all'arte popolare russa e al suo folclore ed ebbe un ruolo fondamentale di animatrice culturale con la rivista Il Vello d'Oro tra il 1906 e il 1909, e MiKhail Larionov che fondò un movimento tra il 1912 e il 1913 autodenominatosi Raggismo. Ambedue erano influenzati dal cubismo e dal futurismo.
Una nuova generazione di giovanissimi artisti irrompeva negli scenari urbani cercando di sovvertire le vecchie regole fondendo arte, modo di vivere, performance di strada. In quegli anni non era difficile incontrare per le strade di Mosca questi artisti con gli occhi dipinti come fiori o con il viso pieni di segni algebrici, o mentre attaccavano manifesti fatti di carta igienica, o vestiti in maniera pittoresca, o leggendo versi nelle situazioni e negli ambienti più improbabili. In questi atteggiamenti c'era anche un po' di imitazione del futurismo italiano dal quale però li separava una diversa concezione politica (vedi qui le differenze tra Majakovskij e Marinetti).
Altri artisti erano meno provocatori nelle manifestazioni pubbliche, ma altrettanto radicali nelle innovazioni che proponevano. Kazimir Malevic divenne il principale esponente dell'astrazione pittorica. Partendo dallo studio delle opere di Cézanne e Picasso operò per ridurre i soggetti alla loro essenzialità, sino a farne puri modelli geometrici. I corpi diventavano cilindri, i colori metallici, la composizione acquisiva un ritmo dinamico. Questa fase cubofuturista fu superata nel 1913 quando Malevic radicalizzò la sua impostazione per liberare la pittura dal "peso" del soggetto. Iniziò così il suo periodo "suprematista": l'opera diventava autonoma dal soggetto che voleva rappresentare, si faceva essa stessa soggetto. Nel 1915 Malevic pubblicò il "Manifesto del Suprematismo", cui collaborò anche Majakowskij, in cui teorizzava un'arte indipendente da qualsiasi imitazione del mondo esterno.
Anche in Russia regnava incontrastato la cinematografia francese: Pathé soprattutto, ma anche Gaumont. La prima società cinematografica russa fu fondata nel 1907. La nuova arte ebbe notevole successo sia tra la nobilità che nel pubblico popolare e ciò favorì una sua rapida espansione. L'inizio della guerra nel 1914 e il la chiusura degli uffici di importazione favorì la crescita impetuosa di una cinematografia nazionale. I film prodotti erano melodrammatici, la recitazione fatta di lunghissime pause, il ritmo molto lento, veniva dato grande risalto alla psicologia e alle capacità recitative di stampo teatrale. Altri film erano tratti da opere delle lettaratura russa, secondo la moda del film d'arte europeo. Nel 1916 risiedevano in Russia più di 30 case di produzione. Gli artisti d'avanguardia, pur nutrendo un grande interesse per il cinema, non poterono in alcun modo influenzare questa produzione, interamente votata a logiche di profitto e strettamente controllata a livello governativo.
Nel 1914 la Russia decise di partecipare alla Grande Guerra a fianco di Francia e Inghilterra, contro Germania, Austria e Impero Ottomano, perché era desiderosa di consolidare ed espandere il proprio impero. A causa della propria arretratezza politica, industriale e militare, non era però in grado di competere con i Paesi dell'Europa centrale. La Russia, così, subì ripetutamente delle sconfitte, i soldati (che erano contadini costretti ad una leva lunghissima) morivano a milioni, mentre si accresceva nel Paese la miseria, e si moltiplicavano le manifestazioni di scontento.
L'agitazione toccò il culmine nel febbraio del 1917 quando venne proclamato uno sciopero generale in tutta la Russia, mentre ovunque si costituivano i soviet. Lo zar tentò di reprimere la rivolta, ma i soldati si rifiutarono di sparare sulla folla. Nicola II fu così costretto ad abdicare e venne poi arrestato. Si formò un governo provvisorio con a capo Kerenskij. Nei fatti però in Russia si costituirono due poteri. Uno era quello dei soviet, formato da soldati, contadini, operai e intellettuali, dove erano forti (ma minoritari) i bolscevichi (poi chiamatisi "comunist"i, i cui principali esponenti erano Lenin e Trotsky) che volevano la cessazione immediata della guerra, la distribuzione delle terre ai contadini e il controllo delle fabbriche da parte degli operai. L'altro potere era quello del governo provvisorio, sostenuto dalla borghesia e dai partiti moderati che volevano la continazione della guerra, uno stato democratico parlamentare e un sistema economico capitalista.
Il governo provvisorio volle continuare la guerra e ciò gli attirò lo scontento crescente della popolazione e l'aumento della popolarità dei bolscevichi che volevano farla cessare. Fu così che i bolscevichi guadagnarono la maggioranza nei soviet e, giudicando maturi i tempi, promossero nell'ottobre del 1917 una seconda rivoluzione, praticamente incruenta, che abbattè il governo provvisorio e instaurò un governo basato sui soviet.
Il governo bolscevico nazionalizzò le banche, favorì il controllo operaio delle fabbriche, tolse le terre ai latifondisti e le affidò ai soviet dei contadini, portò la Russia alla pace con la Germania (pace di Brest-Litovsk) che aveva occupato parte del suo territorio. Le popolazioni assogettate dalla politica imperiale dello zarismo crearono dei propri organismi di governo (per questo il Paese cesserà di chiamarsi Russia ma assumerà il nome di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, URSS, per sottolineare che era l'unione di più popoli, non solo di quello russo) seppur controllati dal potere centrale. Queste misure provocarono una forte reazione da parte delle vecchie classi dominanti, ma anche di fette della popolazione che per varie ragioni non approvava la politica bolscevica.
Dal 1918 dunque si scatenò una ferocissima guerra civile: da un lato le truppe in prevalenza filozariste appoggiate dai Paesi dell'Intesa (Francia, Inghilterra, USA, Giappone, Italia, ecc. che non volevano il ritiro della Russia dalla guerra contro la Germania) e che venivano chiamate "bianche"; dall'altro l'Armata rossa che era il nuovo esercito dello stato russo governato dai bolscevichi.
Alla fine prevalse l'Armata rossa, ma vi furono milioni di morti, anche causati dalle carestie che il conflitto produsse. La Russia (che dal 1922 si denominò URSS, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) era distrutta, completamente prostrata. Il governo bolscevico fu dunque costretto ad avviare una politica che permetteva, anche se limitatamente, il commercio e l'iniziativa privata, e che venne battezzata Nuova Politica Economica. Il governo poi attraverso i "piani quinquennali" progettò una serie di investimenti tesi alla modernizzazione del Paese. Cercava di stimolare la rivoluzione anche negli altri Paesi e per coordinare i partiti comunisti nel mondo fondò la Terza Internazionale.
Il gruppo di giovani artisti che prima della rivoluzione si trovavano ai margini di una società che contestavano aspramente, aderirono entusiasticamente alla rivoluzione. Come disse il poeta Majakovskij: "aderire o non aderire? La questione non si pone per me: è la mia rivoluzione". Il governo bolscevico si rese immediatamente disponibile a valorizzare questi artisti che si mostrarono energici, creativi e devoti alla nuova causa. Le città e in sempre maggior misura le campagne, si riempirono di manifesti, banderuole, produzioni di propaganda che utilizzavano lo stile che solo sino a qualche anno prima era giudicato in maniera sprezzante dalle autorità politiche e artistiche. A molti giovani esponenti dell'avanguardia vennero affidati compiti di responsabilità: fondazione di nuovi musei (36 nei tre anni successivi alla rivoluzione), direzione di nuove scuole, capi della propaganda (oggi diremmo: comunicazione). Questi artisti, abituati ad essere considerati una minoranza ininfluente, si ritrovarono di colpo con la possibilità di comunicare con le larghe masse russe, in gran parte analfabete, e in qualche modo a sperare di influenzarne il gusto e favorirne la crescita culturale. Anche per questo passavano spesso da una forma di espressione a un'altra (cinema, teatro, pittura, poesia, architettura...) e non disdegnavano affatto di occuparsi di attività artistiche considerate sino ad allora "basse" come la grafica, il design, ecc.
A Chagall venne affidata la direzione della vita artistica della regione di Vitebsk, poi lavorò al teatro ebraico di stato a Mosca; Malevic divenne direttore dell'Inkhuk, un'accademia che doveva servire a formare le nuove generazioni di artisti e il cui programma fu preparato da Kandinskij. Quest'ultimo, appena tornato in Russia, era stato nominato membro del Commissariato del Popolo per l'Istruzione. E così via.
Emersero anche artisti che nella fase precedente non erano molto conosciuti. Tra questi Vladimir Tatlin (nato a Kharkov, oggi in Ucraina). Il padre era un ingegnere tecnico, la madre una poetessa che morì quando lui aveva due anni. Scappò di casa a 18 andando per mare come marinaio per diversi anni. Nel 1910 frequentò a Mosca dei corsi di pittura e si unì alle avanguardie. Nel 1913 conobbe Picasso, da cui fu parecchio influenzato. Nel 1914 dette vita insieme a Rodchenko al costruttivismo, relizzando una serie di "rilievi pittorici". Tatlin rifiutava in blocco l'arte del passato e le contrapponeva una nuova visione estetica influenzata dal futurismo, basata sul progresso e sulla tecnica. Con la rivoluzione russa cercò di coniugare questa visione con la ricerca di una arte "utile". Perciò quando all'interno del gruppo costruttivista si aprì un dibattito tra "formalisti" e "produttivisti", Rodchenko si schierò con questi ultimi perché davano maggiore importanza a un'arte impegnata.
Il costruttivismo influenzò quello che diverrà uno dei maggiori fotografi del secolo, Alexandr Rodchenko. Era nato a Pietroburgo nel 1891, studiò arte e si unì inizialmente al gruppo suprematista, poi animò con Tatlin il gruppo costruttivista. Dopo la rivoluzione ebbe incarichi importanti nella direzione dei musei. Nel 1921 insieme alla moglie Varvara Stepanova fondò il gruppo produttivista che voleva utilizzare l'arte nella vita di tutti i giorni. per questo abbandonò la pittura e si dedicò alla grafica, al design, alla fotografia e al cinema. Le sue fotografie erano spesso articolate su un asse dinamico diagonale, con forti alternanze di bianco e nero che conferivano una struttura geometrica alla composizione, e angolazioni ardite nei ritratti che rafforzano gli sguardi.
Anche El Lissitskij, pittore, grafico, tipografo, architetto e fotografo, fu uno degli artisti che emerse dopo la rivoluzione. Era nato nel 1890 in una comunità yiddish nei pressi di Smolensk trascorrendo l'infanzia a Vitebsk. Rifiutato dall'Accademia di San Pietroburgo a causa della politica zarista che riservava pochi posti agli ebrei seguì vari corsi in Germania. Nel 1919 accettò l'invito del suo amico Chagall ad insegnare nella nuova accademia di Vitebsk. I suoi lavori all'inizio erano vicini al suprematismo, poi si avvicinarono al costruttivismo.
Questo gruppo di artisti, pur a volte in polemica per le diverse scelte stilistiche, era comunque immerso nel clima entusiastico e un po' confuso della rivoluzione, e c'erano tra loro scambi e solidarietà. La figura forse di maggior spicco continuava ad essere Majakovskij che non si occupava solo di poesia: negli anni successivi alla rivoluzione realizzò più di 300 manifesti con immagini e slogan. Nel 1923 fu direttore della rivista del LEF, il "Fronte di sinistra delle arti", che riuniva i maggiori esponenti dell'avanguardia, tra i quali Rodchenko, Vertov, Ejzenstejn.
Negli anni tra il 1918 e il 1921, gli anni della guerra civile, il cinema russo sparì. Le case di produzione se ne erano andate e dunque mancavano macchine e pellicola vergine. Tra le poche attività: i treni di propaganda organizzati dal governo e che viaggiavano sugli immensi territori russi mostrando vecchi film o cinegiornali, si faceva teatro, distribuivano materiali politici. Anche molti dei tecnici e dei vecchi registi se n'erano andati. La responsabilità del settore cinematografico fu affidata al Commissariato popolare per l'istruzione (Narkompros) guidato da Anatolij Lunacharskij, un appassionato di cinema (oltre ad essere dirigente della rivoluzione aveva scritto anche qualche sceneggiatura). Questo personaggio, colto e tollerante, oltre a riformare completamente il sistema educativo russo, promuovendo la campagna contro l'analfabetismo, introdusse un importante sistema per la sovvenzione delle arti. In campo cinematografico incoraggiò la ripresa della nuova arte, fondando tra l'altro una scuola di cinema intorno al giovane regista Lev Kulesov. Il nuovo governo dava molta importanza al cinema (Lenin dichiarò "di tutte le arti, per noi il cinema è la più importante"), ma in realtà non aveva fondi per promuoverlo.
Kulesov raccolse intorno a sé un gruppo di sperimentatori del linguaggio cinematografico che si concentrava soprattutto sul montaggio. Il più famoso esperimento, poi conosciuto come "effetto Kulesov", rimontava vecchie inquadrature di un famoso attore russo: al primo piano dell'attore con un'espressione neutra venivano alternate immagini differenti come un piatto di mistestra, un cadavere, un bambino, ecc. Il gruppo verificò che il pubblico leggeva i vari primi piani dell'attore, in realtà identici, come espressioni di differenti sensazioni: fame, tristezza, gioia. Così si dimostrava che il montaggio di due inquadrature creava un "terzo" concetto che non era presente sulla pellicola, ma si formava nella mente dello spettatore: la risposta del pubblico dipendeva più dal montaggio che dalle singole inqadrature.
Dopo l'avvio della NEP, dal 1921, la pellicola riapparve sul mercato. Il risultato concreto della liberalizzazione promossa dalla nuova politica economica fu però che l'URSS venne invasa dalle pellicole straniere, soprattutto tedesche. Nel 1923 il 99% dei film distribuiti era di provenienza estera. Le potenzialità della cinematografia russa furono dimostrate solo con il successo internazionale di Bronenosec Potemkin ("La corazzata Potemkin") del 1925 di Sergej Ejzenstejn.
Sorsero molte case di produzione e di importazione, a volte controllate dagli stessi autori. Lo stato decise di intervenire fondando la casa di produzione Sovkino che si impegnò in un gigantesco sforzo di diffusione del cinema. Furono fondate centinaia di nuove sale cinematografiche anche nei posti più sperduti. I biglietti di ingresso erano sovvenzionati in modo da permettere anche ai contadini di potervi accedere. La Sovkino per riuscire in questo intento doveva però autofinanziarsi e ci riusciva attraverso l'importazione di film stranieri. Negli anni ridusse gradatamente l'importazione e potè permettersi di investire negli autori russi. Costoro ebbero successo e per qualche anno poterono portare avanti indisturbati le proprie sperimentazioni.
Sergej Ejzenstejn, nato a Riga, in Lettonia, 1898 era figlio di una famiglia agiata, di lontana discendenza ebraica in linea paterna, e divenne ingegnere specializzato nella costruzione di ponti. A otto anni aveva visitato la Francia e vedendo i film di Méliès, si entusiasmò al cinema. Dopo la rivoluzione lavorò in ambito teatrale a Mosca come scenografo e regista, anche con Mejerchol'd. Nel 1925 realizzò Stacka ("Sciopero"), il suo primo lungometraggio, che portava sullo schermo le teorizzazioni sul montaggio. Seguirono Bronenosec Potemkin, Oktiabr' ("Ottobre", 1928) e Staroe i novoe ("Il vecchio e il nuovo", 1929).
Nei suoi film degli anni venti non ci sono singoli eroi protagonisti, ma solo la "massa". La tensione drammaturgica è basata non sulla fluidità del racconto, ma sul suo dinamismo, reso soprattutto attraverso il montaggio. Le inquadrarture, in numero elevatissimo, sono giustapposte in maniera netta, forte. Una stessa azione, anche semplice, è spesso ripresa da più punti di vista, per enfatizzarla. Mentre il montaggio tradizionale voleva garantire l'illusione della continuità temporale, Ejzenstejn ripeteva più volte una stessa azione, dilatando il tempo ("verlapping editing"). In altri casi "saltava" delle inquadrature che sarebbero state necessarie per garantire la continuità, allo scopo di obbligare il pubblico a immaginare cosa era accaduto tra una inquadratura e l'altra ("jump cutting"). Per Ejzenstejn le inquadrature non dovevano seguire l'una all'altra per dare chiarezza, ma al contrario dovevano essere poste in conflitto, riproducendo così la realtà che non è fluida, ma piena di contraddizioni e di scontri (di idee, di classi, di aspirazioni, ecc.). I ritmi sono molto rapidi, e allo scopo utilizza anche inquadrature da 1 o 2 fotogrammi. Non è interessato a spiegare o a esprimere uno stato d'animo, ma a restituire la sensazione di movimento, attesa, esplosione. Lo scopo non è quello di consentire allo spettatore di seguire una storia, ma di costringere a mettere in relazione elementi diversi e dunque di ragionare. Un'altra tecnica utilizzata è quella del "montaggio delle attrazioni". Ad esempio alternando in Stacka le inquadrature relative alla morte di un toro con quello della carica contro gli scioperanti (idea ripresa in qualche modo anche da Coppola in "Apocalypse Now"). In questo tipo di montaggio, chiamato da Ejzenstejn, "intellettuale" abbondano gli inserti "non diegetici" cioé estranei alla dimensione spaziale e temporale della sequenza nei quali sono accolti, ma che rimandano ad un significato "terzo", costringendo lo spettatore a creare un concetto che non c'è sullo schermo.
Non solo il montaggio ma anche le singole inquadrature dovevano esprimere dinamismo. Ejzenstejn e il suo operatore di fiducia Eduard Tissé studiarono le composizioni più adatte a raggiungere lo scopo: inquadrature dal basso che ritagliano le persone contro il cielo chiaro, inquadrature inclinate, movimenti di massa contrapposti nello stesso quadro, inquadrature con movimenti diagonalizzati, o con la linea dell'orizzonte molto in basso, ecc. Le immagini avevano un forte impatto "grafico", dato che la disposizione dei personaggi, degli oggetti e delle masse obbedivano a un disegno geometrico che Ejzenstejn meticolosamente preparava, antesignano dello storyboard. I suoi film degli anni venti utilizzavano un'ambientazione completamente realistica, e spesso alcune sequenze posseggono la verità di un documentario. Gli attori non erano professionisti e venivano scelti non per le proprie capacità recitative, ma per l'immediatezza con cui potevano rappresentare la propria appartenenza sociale. Non era importante l'analisi psicologica del personaggio, ma il suo impatto fisico, in questo Ejzenstejn si rifaceva alla recitazione "biomeccanica" postulata da Mejerchold.
Gli altri grandi della cinematografia sovietica furono: Pudovkin, Vertov e Dovzenko.
Vsevolod Pudovkin, nacque nel 1893, fu studente di chimica e di fisica all'Università di Mosca e poi operaio in una fabbrica di armi. A ventisette anni prese la decisione di entrare nel cinema e andò al fronte come operatore di cinegiornale. Al ritorno si iscrisse alla scuola di Kulesov e divenne suo assistente. Il suo primo lungometraggio fu Mat' ("La madre", 1926), tratto da un romanzo di Maksim Gorkij, narra la storia di una vecchia operaia, delineata con la fine psicologia, e la sua presa di coscienza. Il suo stile era meno sperimentale e più narrativo di quello di Ejzenstejin. Altro capolavoro: Konec Sankt-Peterburga ("La fine di San Pietroburgo", 1927).
Dziga Vertov, nacque nel 1896 a Bialystok, oggi in Polonia, da una famiglia ebrea. Studente di medicina, scrittore di poesie e libri di fantascienza, nel 1924 cominciò a realizzare i primi documentari, di cui divenne uno dei maestri del secolo. Fondò nel 1922 il gruppo dei kinoki (cine-occhi), diresse la rivista Kino-pravda (“Cinema-verità”), con una tecnica di montaggio sperimentale volle cogliere in modo militante la realtà sovietica fino al 1925 in una serie di numeri monografici. Secondo Vertov la macchina da presa doveva riprendere la vita "al volo", quello che contava non era tanto quel che si riprendeva, ma la maniera come si legavano tra loro i "cinefatti". Realizza i suoi intendimenti in Chelovek s kino-apparatom ("L'uomo con la macchina da presa", 1929): il film non ha una storia, è semplicemente montaggio creativo di musica e immagini dove l'individuo è inserito nel movimento delle masse e della società in costruzione.
Aleksandr Dovzenko, nato nel 1894 in quella che oggi è l'Ucraina, era figlio di contadini, fu soldato nell'Armata Rossa, poi pittore e scrittore. Realizzò tre capolavori: Zvenigora ("La montagna incantata", 1927), Arsenal (1929) e Zemlja ("La Terra", 1930), tutti molto legati al mondo contadino; la sua poetica influenzerà molto Tarkovskij.
Una caratteristica inedita di questi giovani registi era l'abitudine (diffusa anche nelle altre arti nell'URSS di quel periodo) a teorizzare su quello che producevano. Per la prima volta al mondo si rifletteva sul linguaggio cinematografico, le sue "leggi" e le sue specificità. Dato che si proponevano di rinnovare tutti i linguaggi artistici, l'aspetto pratico era strettamente unito a quello teorico. E tra loro dibattevano e litigavano. Pudovkin e Kulesov erano a favore di un montaggio che privilegiasse la chiarezza e l'impatto emozionale, più simile a quello che si andava consolidando a Hollywood. Il più estremista era Vertov che era ferocemente contro la "cine-nicotina", cioé l'effetto narcotizzante della fiction che impedisce la presa di coscienza da parte degli spettatori. Per Ejzenstejn la potenza del montaggio, secondo lui, sta proprio nella possibilità di creare una realtà nuova, dallo scontro di elementi antitetici, quindi il cinema non doveva narrare storie, ma comunicare idee astratte, un film poteva diventare un trattato. In realtà nessuno di costoro seguì esattamente le proprie idee e un montaggio innovativo si trova anche nei film di Pudovkin e anche nei film di Ejzenstejin troviamo narrate delle "storie".
I film d'avanguardia erano comunque una minoranza nella produzione sovietica, che comprendeva anche commedie e adattamenti dalle letteratura nazionale, dove venivano utilizzati gli attori provenienti dal teatro d'Arte di Mosca, fondato da Stanislavky nel 1898.Il governo sovietico inoltre incoraggiò la nascita di cinematografie nazionali, quando sotto lo zarismo tutto ciò che non era russo era vietato. Uscirono così, con l'avvento del sonoro, film il lingua ucraina, georgiana, yiddish, ecc.
La rivoluzione lentamente andava burocratizzandosi. Stalin fu eletto nel 1922 come segretario del Partito Comunista, un ruolo che all'epoca non era decisivo. Ma attorno a quella posizione si andarono raccogliendo tutti quei dirigenti che volevano mantenere le proprie posizioni di potere e i propri privilegi, e per farlo dovevano ridimensionare il potere dei soviet, e la democrazia nel partito e nella società. Quelli che dagli oppositori vennero chiamati "burocrati" andarono formando un nuovo strato sociale che non era espressione degli operai e dei contadini, ma di se stessi. Il dibattito, sempre molto vivace nel partito, venne lentamente soffocato a favore di una linea politica che era decisa dall'alto e mai discussa alla base. La società divenne sempre più autoritaria. Questo processo è descritto molto bene ne "La fattoria degli animali" di George Orwell. Alla morte di Lenin nel 1924 questo processo divenne sempre più inarrestabile e portò prima all'emarginazione degli oppositori, poi al loro arresto, quindi alla loro uccisione. Il primo ad essere preso di mira fu Trotsky che contestava la mancanza di democrazia ed era legato all'idea che il socialismo non fosse possibile in un solo Paese, per di più povero, ma si dovesse incoraggiare la rivoluzione anche nei Paesi più sviluppati.
Alla fine degli anni '20 Stalin aveva il pieno controllo dello stato e del partito, e cominciò la trasformazione della società sovietica in un sistema totalitario: non vi era alcuno spazio per iniziative indipendenti dalla volontà del ceto politico al potere. Stalin stesso dette impulso ad un fenomeno tipico delle dittature: il "culto della personalità". Le città dell'URSS cominciarono a riempirsi di manifesti, statue e inni dedicati alla "grande guida". La stessa figura di Lenin venne mitizzata. Lenin, malato, aveva condotto una dura battaglia contro Stalin prima di morire, ma, una volta morto, fu glorificato in ogni maniera.
Venne promossa la collettivizzazione forzata della terra, con modalità così violente che finirono per favorire terribili carestie nelle campagne. Lo stalinismo mantenne un maggior consenso nelle città, dove migliorarono le condizioni degli operai e dove si dette inizio ad una poderosa opera di industrializzazione e di costruzione di grandi opere. Per accrescere la produttività, invece di motivare i lavoratori attraverso discussioni ed assemblee come nei primi anni della rivoluzione, lo stalinismo ne accrebbe la competizione promuovendo il fenomeno dello stacanovismo, dal nome di un minatore che aveva superato del 1400% la quota assegnatagli di estrazione del minarale. Il dissenso venne duramente represso, si costruirono i GULag, campi di lavoro in regioni desolate, dove vennero rinchiusi i detenuti a milioni. Chi pagarono i prezzi maggiori furono gli stessi membri del Partito Comunista. Stalin fece uccidere gran parte dei dirigenti che avevano realizzato la rivoluzione d'Ottobre e guidato il Paese nei primi turbolenti anni, attraverso una serie di "purghe", processi farsa che all'inizio degli anni '30 decimarono le fila del partito.
La lotta interna al partito fece sì che Stalin e il suo non si occupassero troppo anche degli artisti. Ma alla fine degli anni venti ebbero il potere sufficiente per normalizzare le "avanguardie", troppo vivaci e indipendenti perché potessero assoggettarsi facilmente alle direttive del regime. Vennero create delle associazioni nazionali di artisti (scrittori, cineasti, ecc.) totalmente allineate, spesso dirette da elementi con scarse capacità artistiche e che cominciarono ad attaccare sistematicamente le associazioni indipendenti, sino a costringerle a sciogliersi per confluire nelle organizzazioni "ufficiali", nel 1932. Nel 1928 cessò di esistere la LEF. Kandinskij e Chagall se ne erano andati via da tempo. Malevic fu costretto a ritornare in patria nel '28 e da allora di tutta la sua produzione artistica non si seppe più nulla fino agli anni novanta. Rodchenko fu obbligato dall'inizio degli anni '30 a fotografare solo eventi ufficiali e dal '40 decise che era meglio rinunciare del tutto a fotografare. Mejerchol'd scomparve con le purghe del 36-38. Majakovskij dette allle stampe alla fine degli anni '20 una commedia dove prendeva per i fondelli la nascente burocrazia, e fu violentemente attaccato. Forse anche per queste delusioni politiche si tolse la vita nel 1930. Dopo la sua morte, una volta inoffensivo, venne esaltato dal regime come massimo poeta della rivoluzione.
a confronto le copertine di Rodchenko del periodo dell'avanguardia e del periodo stalinista
Mentre nei primi anni dopo la rivoluzione vigeva il principio che non potesse esistere una estetica di stato, ma le diverse concezioni artistiche dovevano liberamente confrontarsi nella società, con lo stalinismo fu imposta una determinata visione dell'arte che venne chiamata "realismo socialista". Secondo tale concezione l'arte doveva essere "semplice", facilmente comprensibile agli operai e ai contadini. Dovevano cessare le sperimentazioni, tornarono in auge i modelli del periodo zarista, si doveva offrire al pubblico una visione ottimistica della società, si dovevano esaltare degli eroi senza macchia che dovevano servire da esempio.
Il cinema fu tra i primi, in quanto potente mezzo di comunicazione, a subire la stretta del regime sulle arti. Non furono colpiti gli autori che si erano dedicati ad un cinema in qualche modo legato al passato o ad uno stile hollywoodiano, ma i registi dell'avanguardia. L'accusa che venne loro mossa fu quella di "formalismo", di privilegiare cioé la bellezza della forma rispetto ai contenuti propagandistici. Si rimproverava loro di realizzare opere troppo complesse per le masse. In realtà fu proprio il successo internazionale di questi film a risollevare finanziariamente la cinematografia sovietica. Nel 1927 per il prima volta gli incassi dei film nazionali erano superiori a quelli dei film stranieri. Lunacharskij, che aveva assicurato al mondo delle arti una certa libertà di movimento, cominciò ad essere criticato apertamente dal regime, e alla fine fu rimosso dal suo incarico. Molti esponenti dell'avanguardia ebbero difficoltà a trovare i fondi. L'unico che continuò ad essere relativamente esautorato dalle critiche, per un po', fu Pudovkin. Nel 1928 si tenne la prima conferenza del partito comunista per le questioni cinematografiche e due anni dopo il cinema venne centralizzato e non furono più possibili produzioni indipendenti.
Nel 1929 Ejzenstejn andò negli USA invitato là da alcune majors che si erano offerte di finanziargli dei film. Una volta là, in realtà, rifiutarono sistematicamente i suoi progetti, giudicati politicamente troppo scomodi, e si trovò piuttosto isolato, a parte un buon sodalizio umano con Charles Chaplin. In URSS intanto nel 1930 era stata creata la Soyuzkino che doveva supervisionare tutto, anche la distribuzione e l'esercizio, con a capo Boris Sumjatskij, un burocrate senza esperienza di cinema che odiava i registi di avanguardia. Tutti gli autori furono costretti a cambiare stile o furono ridotti al silenzio. Quando tornò, Ejzenstejn fu ripetutamente attaccato e gli unici progetti che gli si consentì di realizzare erano in qualche modo riconducibili all'estetica dominante: Aleksandr Nevskij e Ivan il Terribile, storie di condottieri del passato in cui anche Stalin poteva identificarsi. Ma la seconda parte di Ivan (La congiura dei Boiardi), che mostrava il monarca dubbioso di fronte alle stragi che aveva perpetrato, non piacque e ne venne impedita la distribuzione.
Dal 1932 nuove fabbriche producevano tutta la pellicola necessaria al cinema sovietico, mentre veniva ostacolato l'ingresso di film stranieri. Sumjatskij, prima di venire a sua volta arrestato e giustiziato, rispondeva direttamente a Stalin, che, purtroppo, era un grande appassionato di cinema. Nei suoi appartamenti disponeva di una sala di proiezione privata e se ne vedeva anche due al giorno (su questo è stato girato il film italo-statunitense: Il Proiezionista, 1992, regia di Andrei Konchalovsky con Tom Hulce e Bob Hoskins). Il regime voleva film semplici, che non facessero riflettere, con protagonisti eroi positivi: dovevano descrivere in maniera ottimistica la vita della gente comune. Paradossalmente una estetica abbastanza vicina a quella contemporanea in vigore a Hollywood. Là le sceneggiature dovevano passare attraverso l'attento filtro dei produttori, in URSS attraverso la burocrazia stalinista.
La morte di Stalin nel 1953 portò ad una lotta per il potere in cui emerse Nikita Krusev che, nel 1956, denunciò pubblicamente alcuni crimini di Stalin e il culto della personalità. Per qualche anno si alleggerì la pressione e il controllo sul cinema. Nacque così quello che fu poi chiamato "cinema del disgelo". Tra i film più significativi del periodo vi sono quelli che mostravano il dramma della seconda guerra mondiale senza far ricorso ad eroi senza macchia e senza paura. Tra questi Sorok pervij ("Il quarantunesimo, r. di Grigorij Cuchraj, 1956) e Sud'ba celoveka ("Il destino di un uomo, r. di Sergej Bondarciuk, 1959). Il cinema sovietico riacquistò in quella fase un certo prestigio internazionale. Letjat zuravli ("Quando volano le cicogne", r. di Mikhail Kalatozov, 1959) vinse al Festival di Cannes nel 1958. Nello stesso anno fu fatta conoscere la seconda parte di Ivan il terribile, e La Corazzata Potemkin, relegato dallo stalinismo tra i film che era meglio non distribuire, conobbe un secondo trionfo internazionale acquisendo proprio in qull'epoca la fama di miglior film della storia del cinema.
Questa fase della storia sovietica ebbe termine con la caduta di Krusev nel 1964. Di nuovo l'Unione Sovietica conobbe un periodo di dura repressione interna, e il cinema fu il primo a risentire del nuovo clima. La gran parte degli autori non allineati si rifugiarono in film intimisti oppure ambientati nel passato. In quegli anni venne girato il capolavoro assoluto (osteggiato dal regime) Andrej Rublev per la regia di Andrej Tarkowskij (1966, ma in Europa venne conosciuto solo nel 1975). Attraverso la storia del più grande pittore di icone nel Medioevo e della sua lotta per un'arte vicina al popolo e lontana dai potenti, Tarkowskij critica implitamente il regime.
Con l'ascesa di Gorbaciov alla metà degli anni '80 e poi con lo scoglimento dell'URSS nel 1991 vennero a cessare i controlli da parte dello stato, ma la liberalizzazione del Paese in senso capitalistico, insieme alla cessazione dei finanziamenti statali, ha portato nei fatti alla sparizione del cinema russo. Le sale cinematografiche sono in gran parte in mano a multinazionali straniere e i film che circolano in Russia sono per lo più di produzione hollywoodiana. I pochi film che giungono in Europa occidentale sono solitamente delle coproduzioni internazionali.